venerdì 12 marzo 2010

Rispetto reciproco con il cliente

Ribadisco uno dei miei principi: il rispetto reciproco con il cliente.
Innanzitutto noi traduttori dobbiamo essere consapevoli del nostro ruolo. Nel tradurre un testo non dobbiamo dare il 100%, ma il 110%. Questo per rispetto di noi stessi, del cliente, dell'uso destinato e, sopratutto, della nostra professione. Accettiamo testi solo ed esclusivamente se siamo pienamente padroni dell'argomento. Può capitare che possiamo avere dubbi su alcune parole e chiedere l'ausilio di colleghi, ma se ciò si verifica molte volte nel testo, significa che non siamo in grado di tradurlo. Quando fissiamo una deadline, dobbiamo rispettarla, costi quel che costi, tranne in caso di eventi di forza maggiore, of course. Per me, nella vita così come nel lavoro, la parola data è sacra. Si viene meno alla parola data solo in seguito ad eventi di forza maggiore, come appena indicato. Questo non senza avvisare il cliente a tempo debito, se possibile.
Chiedere sempre chiarimenti a quest'ultimo, in caso di dubbi nel testo.
Venendo al cliente, innanzitutto questi deve avere la massima considerazione nei confronti del fornitore. Se cerca di imporre una tariffa, significa che non è serio al 100% ed il traduttore farebbe bene a rifiutare. La comunicazione con il traduttore deve essere ineccepibile. E' fondamentale inviare un PO prima di commissionare il lavoro, nonchè restare sempre a disposizione in caso di richiesta di chiarimenti. Un cliente che paga in maniera decorosa potrà lavorare con traduttori di livello superiore e la sua immagine nei confronti del committente finale ne trarrà giovamento. Giustamente "If you pay peanuts...".
Non tutti i clienti la pensano così, ma quelli che adottano questa linea di condotta hanno tutta la mia stima. E non solo perchè pagano di più. In tal modo la categoria ne trae beneficio, così come l'agenzia stessa, nonchè il servizio prestato al committente finale.
Per i miei problemi al naso ed all'orecchio sono andato da diversi medici, ma solo quando mi sono rivolto ai due migliori le cose sono sensibilmente migliorate e ho risolto al 100% i miei problemi respiratori e di udito.
Questo esempio dovrebbe essere applicato anche al nostro campo.
Dobbiamo noi stessi farci garanti di ciò, ponendosi un certo modo, mostrando il massimo rispetto per il cliente, ma non soggezione. Come dice qualcuno "Ca nisciun è fess..."

lunedì 8 marzo 2010

How a translator should cope with customers

In this post I will deal with some tips about the relationship with customers. During my years of experience I could learn many matters, and I am glad to give advices to newbies.
First of all, it is important you play fair and act fair. Customers will trust you more if they see you are kind and nice. This is the first step. Side by side there is professionalism. Introduce yourself in the best possible way, showing qualifications and reliability. Be also careful with the question. You should be aware of fees, payment terms, payment modes, page structure (e.g. in Italy 1 page = 1500 strokes spaces included). If you do not know even one of this information, it is likely that the client will rule you out. You can learn with practice. Do not demoralise if you fail once or twice: you learn making mistakes.
Then make her/him questions. You must well understand what she/he needs from you. Which kind of service, which kind of tools you must use, information about deadlines, etc... Intelligent questions will make the customer realise you know how to deal with this kind of situations.
Show the customers all your qualifications, experiences, references, if any, etc... Focus on your strength points: if you know how to market yourself, this can lead you to a faster success.
In any work, give the best of yourself. Hold on, regardless of rate and final amount. More you give, more you will be compensated. Provided an accurate text and include translator's note if necessary. Added value will be appreciated and will be an opportunity for you to be chosen again.
Then, please be very careful with customer's conditions. It must be a fifty-fifty relationship and no Party should overrule the other. If the customer starts imposing conditions, alledging that cannot give you more because does not have so much money or the end client is not paying much, please kindly decline the offer. You are a service provider and must be respected for that. As you respect your customer, behaving in a very kind way, this must be mutual.
In case that your customer does not comply with her/his agreements and obligations, get stick to your position. Complain. In case of any dispute, contact your lawyer immediately.
Conclusion: reliability, trust and satisfaction must be mutual!
Tell me your opinion about these brief guidelines. Contact me for any other question
Vincenzo

venerdì 5 marzo 2010

Quanto ha bisogno di guadagnare un traduttore per vivere?

Scrivo su questo argomento già ampiamente dibattuto, sul quale è difficile trovare pareri unanimi. La prima considerazione è abbastanza ovvia. Come per tutti i lavori, lo stipendio che hai bisogno per vivere dipende dai soliti fattori: Paese in cui vivi, figli a carico, se hai la casa di proprietà o meno, quanto paghi di affitto o di mutuo, ecc…
Bisogna fare anche una distinzione nella stessa Italia. Certamente il traduttore residente a Milano, a parità di condizioni, avrà bisogno di guadagnare di più rispetto al traduttore residente a Crotone Calabria, data la differenza di costo della vita.
Innanzitutto ciò che si fattura non è netto. Ho letto di stime secondo cui un traduttore avrebbe bisogno di fatturare 55.000-60.000 Euro l’anno per vivere. Inizio con l’asserire che queste stime sono abbastanza aleatorie, in quanto non considerano le condizioni sopraesposte. Tutto è relativo. Credo che 60.000 Euro di fatturato all’anno bastino ed avanzino anche per un traduttore residente a Milano, con un mutuo da pagare e figli a carico.
Qui da me in Portogallo molti colleghi professionisti lavorano a 0,04 Euro a parola (tariffa assolutamente non professionale), ma riescono a vivere. Questo perché la tassazione portoghese è molto meno opprimente di quella italiana. Questo porta anche ad una svalutazione del mercato traduttivo nazionale, ma questo è un discorso che affronterò in altri articoli.
Veniamo a dati oggettivi. Un traduttore deve pagare le tasse, in molti i casi deve pagare l’IVA, ha spese di CAT tools, software, corsi, eccetera, aggiungendo a ciò anche i contributi da versare. Non considero le spese di internet incombenti solo sui traduttori, in quanto praticamente tutte le famiglia in Occidente possiedono una connessione internet ADSL. Volendo essere buoni, decurtiamo da questa stima anche spese che si risparmiano con carburante ed abbonamenti vari ai mezzi pubblici.
Tuttavia, naturalmente il traduttore ha molte più spese rispetto ad un dipendente. Il computer è inoltre più soggetto ad usura.
Riguardo il calcolo, a mio avviso in Italia un traduttore può considerare come guadagno netto la metà di quanto fatturato, mentre in Portogallo i 3/4. Certamente in Portogallo, se fatturi 30.000 Euro l’anno vivi da nababbo, mentre in Italia faresti grossa fatica.
Traccio quindi le mie conclusioni:
- È impossibile quantificare un fatturato per vivere.
- Ciò dipende dalle condizioni sopraesposte e soprattutto dal tipo di vita che una persona vuole svolgere.

la mia esperienza con i copti

Ricordo ancora il giorno in cui ho messo piede per la prima volta ad Alessandria d’Egitto. Era una giornata surreale, dato che era concomitante con un evento planetario, la finale dei mondiali del 2006, nei quali la nostra nazionale ha trionfato. Ero troppo emozionato per pensare al calcio. L’accoglienza è stata speciale. Quando sono sceso dalla macchina che mi ha condotto dal Cairo alla città fondata da Alessandro Magno, ho trovato ad aspettarmi un distinto signore poco più che trentenne. Il suo nome è Mina, proprio come il Santo raffigurato con due cammelli accanto a esso. Capisco subito che è cristiano non solo dal nome, ma anche dalla croce tatuata sul polso, simbolo di orgoglio e di identificazione di fede.
Ad un anno e mezzo di distanza, quei momenti mi sono rimasti impressi nella mente, dato che, dopo aver conosciuto Mina, sono stato ospitato dalla sua famiglia e ho potuto assaporare e toccare con mano la realtà copta. Dal momento in cui sono giunto in questa famiglia mi sono sentito a mio agio e non ne avevo il minimo dubbio, dato anche il fatto che conoscevo da oltre un anno tutti i componenti della famiglia. Ho subito sfatato dalla mia mente i cliché che sono presenti nell’immaginario collettivo europeo e che avevo l’anno prima. Se andiamo ad analizzare, quante persone, in effetti, da noi in Occidente, hanno idea della presenza di una cospicua cristianità in Egitto? Sappiamo bene che l’Egitto è inquadrato all’interno di un contesto più che riduttivo. Nella quasi totalità degli insegnamenti, si passa dalla grande civiltà dei faraoni e delle imponenti costruzioni direttamente alla storia recente, con un Paese configurato totalmente in un contesto arabo-musulmano. Pochi, infatti sanno dell’ondata di evangelizzazione prodotta da greci e romani, della fondazione della prima Chiesa cristiana in Egitto da parte di San Marco l’Evangelista e, soprattutto, che i cristiani hanno costituito l’unica religione nella terra dei faraoni, per ben sei secoli. A pro di ciò, quando ho comunicato della mia esperienza presso una famiglia egiziana per fortificare il mio livello di lingua araba, ho ricevuto gli stessi commenti. Tutti identificavano gli egiziani ai musulmani e si domandavano di come riuscissi a convivere con persone che dovevano pregare cinque volte al giorno, che digiunavano e che erano sempre in moschea. Rimanevano poi tutti attoniti ed esterrefatti quando li mettevo al corrente che avrei alloggiato presso una famiglia cristiana. La terra dei faraoni, delle piramidi, della sfinge, dei templi, delle spiagge mozzafiato e delle sconfinate distese del deserto del Sahara presenta un altro aspetto, affascinante e sconosciuto ai più. La poliedricità di questo splendido Paese è impressionante e, a chiunque, lo abbia visitato, sarà capitato di imbattersi nella numerosa comunità copta e nella sua società, anche se molti non se ne sono resi conto.
In questi due mesi di permanenza in quella che oramai definisco la mia seconda terra ho potuto davvero calarmi pienamente di questa realtà. Ho notato la condizione nella società egiziana da parte dei cristiani. Per cominciare, lo status di minoranza è chiaro ed innegabile. La religione ufficiale in Egitto è l’Islam e il proselitismo non è formalmente vietato, ma, specialmente in questi ultimi tempi, è fortemente sconsigliato. Hanno realizzato ciò i salesiani dell'Istituto Don Bosco di Alessandria che con i loro allievi affrontano vari argomenti fuorché la religione. Ho appreso ciò da alcuni amici che insegnano nell’Istituto. E mi è apparso sempre più chiaro che, fin quando non sono affrontate problematiche religiose, il rapporto tra le due comunità è estremamente pacifico e sereno. Tendenzialmente la convivenza è tranquilla, in quanto la maggioranza dei musulmani in Egitto è moderata. I vari amici musulmani con cui ho discusso hanno sempre mostrato un atteggiamento tollerante e di apertura nei confronti dei copti, alla luce del fatto che nel Corano è stabilito il massimo rispetto verso la gente del Libro, vale a dire cristiani,musulmani ed ebrei. Ho potuto constatare che, nonostante la famiglia di Mina fosse l’unica famiglia copta che viveva nel palazzo, non ha mai subito alcun tipo di disturbo.
Tuttavia, nonostante questo sostanziale rispetto reciproco, non vi è pieno amalgama tra le due comunità: è palese che spesso i cristiani amano stabilire amicizie e rapporti di lavoro esclusivamente all’interno della loro comunità. Sia all’interno della famiglia di Mina, che presso altri miei conoscenti cristiani, ho visto che per qualsiasi lavoro o servizio ci si rivolge ad un cristiano. Ad esempio il barbiere era cristiano, insieme all’insegnante di computer, al falegname, al venditore e, ovviamente, al medico. A proposito delle professioni, notiamo che la minoranza cristiana annovera parecchi componenti nel campo del commercio, parecchi medici e parecchi farmacisti. L’orientamento dei ragazzi, quando sono nelle scuole superiori, tende verso uno di questi campi. Come conseguenza, le facoltà di medicina, farmacia e commercio, in primis, annoverano un numero di studenti cristiani elevati rispetto alla percentuale di copti presenti ad Alessandria. Ho scoperto ciò per la prima volta, quando, una notte di agosto, nel 2006 ho incontrato Fady, un ragazzo copto ortodosso che doveva terminare i suoi studi in medicina per poi specializzarsi a Los Angeles per diventare dentista. Come Mina, anche Fady ha l’inequivocabile tratto distintivo: la croce copta disegnata sul polso o tra il pollice e l’indice. Ci sediamo a un bar e mi spiega che l’incisione di questa croce non è esattamente semplice come realizzare un tatuaggio. Innanzitutto bisogna essere battezzati e poi bisogna andare in una Chiesa o in un monastero per farsi tatuare questa croce. Le Chiese di Alessandria che praticano ciò non sono molte e i monasteri sono lontani. In più, l’incisione – piuttosto dolorosa, mi conferma Fady – è possibile solo in alcuni periodi dell’anno, quando chiese e conventi sono predisposti a ciò, in occasione di festività religiose.
Tramite Fady ho poi conosciuto una comitiva di ragazzi copti. Croce tatuata a parte, notavo differenze con coetanei musulmani, soprattutto dal punto di vista dell’abbigliamento e dai posti che frequentavano. Mi era risaltato agli occhi, già altre volte, il fatto che di solito i ragazzi cristiani tenessero alla cura dell’aspetto esteriore più di quelli musulmani. In più, come già accennato, preferiscono rimanere nel loro ambito, anche se non disdegnano introdurre occidentali nel loro gruppo. I contenuti delle loro parole, il loro modo di parlare e di scherzare sono molto occidentali. Quando siamo tutti riuniti, italiani ed egiziani copti, dinanzi ad una caffetteria, in riva al mare ad Alessandria, con visione della splendida cittadella mamelucca, sembra di essere a Mergellina, vicino al Castel dell’Ovo. E gli amici copti, a parte la lingua, sembrano davvero degli italiani. Gli orologi che portano al polso, l’elegante modo di vestire e le utilitarie che guidano sono aspetti tangibili di ciò. Insomma, tratti distintivi veri e propri, che accomunano un gruppo, il quale ci tiene a questa omogeneità.
La famiglia di Mina, poi è una famiglia moderna di vedute, molto occidentalizzata e fortemente determinata a perseguire i propri obiettivi. Lui è un uomo maturo, esperto e navigato, nonostante l’età ancora giovane. La famiglia ha rappresentato l’eccezione alla regola secondo cui i cristiani sono più abbienti rispetto ai musulmani in Egitto. E con una madre, quattro fratelli e due sorelle da mantenere per lui è stata un impresa ardua. Ma ce l’ha fatta. Come tutte le famiglie cristiane in Egitto, hanno come principali preoccupazioni la devozione religiosa, il legame familiare e i rapporti interpersonali. Affiancano ciò elementi più materiali, ma comunque considerati importanti, quali la cucina e il modo di vestire. A proposito della devozione religiosa, la primissima volta che ho varcato le soglia della casa di Mina, mi sono trovato di fronte un salone pieno di immaginette sacre, di gigantografie di Gesù, di statuette della Madonna e di adesivi del Papa Sheinuda, Papa ortodosso, vero vate e leader carismatico di una intera comunità. Ho vissuto, durante i miei periodi in Egitto, in particolare nell’ultimo dove ho risieduto a casa di Mina, una religiosità speciale e ne sono stato contagiato. L’attaccamento alla fede che ho riscontrato tra i cristiani copti, non lo ho mai visto da nessuna altra parte. E posso dire che la fede accompagna le persone anche nei minimi gesti quotidiani e nelle parole. Ogni volta che scendevo venivo salutato con espressioni che, tradotte, significano “Nostro Signore ti accompagna”, “Dio sia con te”, “Dio ti benedica” e “Dio ti protegga”. Alquanto eccessivo e ripetitivo, però, a mio avviso, l’utilizzo di intercalari e saluti religiosi in quasi ogni frase. Ho trovato poi interessante che, in famiglia di Mina, erano seguitissimi programmi religiosi in televisione. Vedevo tutti loro, quando non erano impegnati, passare da un canale religioso all’altro, focalizzandosi su Aghapy TV e su CTV. Suggestivo è il canale CTV, con la sua celebre sigla che recita “Rabbena Maugud”, che significa “Dio è presente”. Entrambi i canali trasmettono talk-show religiosi, musica religiosa, film che narrano storie di Santi, chiese e conventi, interviste e, soprattutto, i discorsi del Papa Sheinuda. E’ una figura carismatica che trasmette simpatia e non solo alla famiglia di Mina e agli amici copti, ma persino ai musulmani. Ho avuto la fortuna di assistere, assieme al fratello di Mina, Remon, a una sua visita ad Alessandria. Era il 25 novembre 2007. La Chiesa di San Marco era gremita in ogni ordine di posto e il pontefice è stato oggetto davvero di un bagno di folla. L’occasione era quella dell’inizio del digiuno copto, svolto per ricordare il miracolo dello spostamento della montagna di Mokattam, da parte di San Simone. E’ stata la prima volta che sono riuscito a vedere un Papa da pochi metri e sono rimasto colpito anche dal suo discorso: oltre a ricordare l’importanza del digiuno, il Papa Sheinuda riusciva anche a sdrammatizzare e a scherzare con i giovani. Quindi, in un Paese dilaniato dalla povertà e da altri problemi, punti di riferimento come il Papa Sheinuda e la religione sono punti cardine per i copti. Impressionante la portata di popolarità che ha il Papa, tanto che per tutti i giovani che ho conosciuto, i suoi moniti e i suoi discorsi sono da mettere in pratica.
Ho avuto riscontro di ciò anche quando sono andato in visita ai conventi. La prima volta sono stato nell’agosto del 2006, quando, sfidando le condizioni climatiche proibitive, ho raggiunto Wadi Natrun, località desertica, tra Alessandria e il Cairo. Lì sono stato in alcuni monasteri di monaci e sono rimasto molto colpito da quello della Vergine Maria (Mariam el Adhrà) e da quello di San Macario. Mi è rimasta impressa in mente l’accoglienza che ci hanno riservato i monaci e la disponibilità con cui ci hanno illuminato raccontandoci la storia dei conventi, e con cui ci hanno preparato da mangiare. I fedeli copti vedono nelle frequenti visite ai monasteri un pellegrinaggio doveroso e un modo per ringraziare il Signore. Appena sono liberi, anche un giorno, colgono l’occasione per andarvi. Questi pellegrinaggi religiosi, poi, sono ancora più massicci verso il monastero di San Demiana, presso al-Mansoura, dove migliaia di fedeli si radunano nel complesso. Anche io ho avuto l’onore di visitare, a gennaio, il convento il quale, a differenza di quelli di Wadi Natrun, è composto da suore. Anche qui sono rimasto colpito da come le suore ci hanno accolto. Abbiamo visitato il monastero e ci siamo soffermati dinanzi alla tomba di San Demiana e ho conosciuto la storia di questa grande Santa, venerata da tutti. Davvero giornate indescrivibili. Facile realizzare quindi il tipo di educazione che hanno queste persone, improntato su principi religiosi e sugli insegnamenti del Signore. A differenza che in Italia, in Egitto chi si professa cristiano lo è realmente e da quello che ho potuto vedere, davvero sono messi in pratica in precetti scritti nella Bibbia. Nonostante la generale povertà, la coesistenza con i musulmani e l’essere spesso costretti ad emigrare, i cristiani d’Egitto non perdono la loro dignità e la speranza, mantenendo nella stragrande maggioranza dei casi un comportamento irreprensibile. Da parte mia, dati i miei studi in lingua araba, ho avuto la fortuna e l’onore di immergermi totalmente nella società egiziana e di avere un rapporto diretto e fraterno con alcuni componenti della comunità cristiana. Invito chiunque abbia intenzione di visitare l’Egitto a conoscere anche questo aspetto: sono sicuro che gli si apriranno gli occhi e che nutrirà una forte ammirazione per questa splendida comunità.

NOME ED ETIMOLOGIA

Utilizziamo il termine “copti”, dall’arabo Qibt, che sta a indicare un’abbreviazione del nome greco Aigiptios (Egiziano); questo, a sua volta, deriva da Hikuptah (Casa dell’energia di Ptah). Ptah è il nome religioso di Menfi, la capitale dell’antico Egitto.

NUMERO E DIFFUSIONE

In Egitto, fornire una statistica sull’esatto numero dei copti è pressocchè impossibile, siccome il governo tende a diminuire il loro numero, mentre essi forniscono spesso stime esagerate. Si calcola, tuttavia, che siano tra i 6 e i 10 milioni. La loro presenza è cospicua in Alto Egitto (Assuan, Assyut, Suhag, al-Minyah), al Cairo e ad Alessandria.

ORIGINE

Fu fondata in Egitto nel primo secolo, dalle pratiche dell’Evangelista Marco. Al Concilio di Calcedonia assunse una posizione a sé stante sulla Natura di Dio, preferendo parlare di “unica natura del Verbo incarnato”, secondo la dichiarazione del Patriarca Cirillo di Alessandria. Vi è anche la Chiesa copta cattolica, in comunione con il Papa di Roma, istituita dalle missioni dei cappuccini nel secolo XVII.

IL PAPA

Il Pontefice è Sheinuda III ed è il numero 117 da quando è avvenuta la predicazione di San Marco. Per il Papa copto non esiste il dogma dell’infallibilità papale.

martedì 2 marzo 2010

La traduzione dalla lingua araba

Il presente articolo è stato altresì pubblicato su proz.com, che ne detiene il copyright. Ecco il link:
http://www.proz.com/translation-articles/articles/2908/1/La-traduzione-dalla-lingua-araba

A grande richiesta, posto un breve articolo riguardante la traduzione dalla lingua araba. Colleghi, amici, parenti e conoscenti mi chiedono sempre dettagli.Innanzitutto c'è da riportare la prima differenza: l'arabo si scrive e legge da destra a sinistra. Apprendere a leggere e scrivere l'arabo non mi è stato particolarmente difficile, in quanto gli arabi utilizzano lettere e non ideogrammi. Svolgendo anche un corso di scrittura ho sviluppato anche una graziosa grafia.Consideriamo inoltre che l'arabo è una lingua semitica, quindi ha una sintassi completamente differente da quella delle lingue europee. Vi sono dieci forme verbali e tre casi. Inoltre la frase nominale è costituita da un soggetto e da un predicato, quindi non comprende il verbo essere. Di conseguenza, l'impostazione è totalmente diversa da quella delle lingue europee.Addentrandoci nell'aspetto traduttivo bisogna effettuare un'osservazione importantissima. Premesso che il Modern Standard Arabic è una lingua ufficiale presente nei giornali, in TV, a livello accademico, eccetera, molti testi scritti in arabo sono ad immagine e somiglianza di colei/colui il quale li redige.Immaginate ad esempio una sentenza, una delibazione o un atto di citazione. Il giudice o l'avvocato che li redige avrà uno stile totalmente personale. L'arabo possiede una sintassi molto più libera rispetto all'italiano e totalmente diversa. Come se non bastasse, le influenze dei vari Paesi sono lapalissiane. Un avvocato marocchino scriverà un documento in maniera sensibilmente diversa rispetto ad un avvocato siriano. Alcuni termini differiscono da Paese a Paese. Attenzione: non si tratta di dialetti, ma di varianti regionali della lingua araba. Questo riguarda soprattutto le isituzioni. Al riguardo, sono particolarmente ricche di termini "nazionali" nel settore giuridico l'Arabia Saudita e la Tunisia.Quali scelte deve adoperare quindi il traduttore? Innanzitutto deve prendere in considerazione il contesto geografico, il quale è totalmente differente da quello europeo. Le traduzioni letterali non saranno mai accettabili. Bisognerà veicolare il messaggio prestando la massima attenzione agli elementi prettamente culturali presenti nel testo sorgente arabo. Molti clienti mi chiedono spesso perché ho riportato un termine non presente nel sistema giuridico italiano. I sistemi giuridici presentano differenze lampanti. Queste differenze sono particolarmente diffuse anche nel settore dell'edilizia. Spesso non traduco letteralmente, ma cerco di "parafrasare". Ciò sarà necessario anche in testi giuridici. Immaginate la traduzione di un testo di interpretazione coranica o di un discorso del Papa copto Sheinuda.Inoltre spesso le note del traduttore sono d'uopo. L'obiettivo primario è quello di ridurre al minimo la cosiddetta "perdita" traduttiva provocata dalle succitate differenze geografiche.In uno dei miei ultimi lavori ho inviato al cliente un file a parte nel quale ho riportato annotazioni inerenti edilizia, giurisprudenza, architettura e geografia. Ultimo, ma non meno importante è il fatto che molte istituzioni arabe non hanno esattamente le stesse funzioni di istituzioni europee. Evitare quindi una traduzione letterale. Opportuna è stata la scelta di creare glossari settoriali e per Paese. Dizionari specialistici quali il Khatib o lo Chaiban (che non dovrebbero mai mancare nella libreria di un traduttore professionista) sono delle vere e proprie miniere a riguardo. Possiedo anche un glossario specifico con circa 12000 termini in oltre 50 settori.Partendo dai presupposti sopraesposti, il traduttore potrà effettuare la propria traduzione con l'obiettivo di rendere il testo scorrevole nella lingua di arrivo, prestando la massima attenzione a riportare tutti i dati e le informazioni presenti nel testo arabo, spesso legate a sintassi o cultura differente.Spero che queste info sommarie vi siano state utili. Sentitevi liberissimi di fare osservazioni e commenti e porre domande. Per qualsiasi approfondimento, sono a vostra disposizione.
Vincenzo Di Maso
www.vdmtranslations.com

presentazione

Finalmente anche io ho il mio blog.
Un blog che tratterà del mondo della traduzione in primis, ma saranno affrontati vari argomenti. L'impostazione sarà fondata sulla massima trasparenza e franchezza, mantenendo stile e contegno. Non sfocerò mai in discussioni volgari od offensive nei confronti di nessuno.
I commenti sono i benvenuti!
Chi mi conosce saprà già che sono un traduttore ed arabista che vive a Lisbona. Sono originario di Napoli, città nella quale torno molto spesso.
A prestissimo! Buona lettura e buoni commenti!