venerdì 5 marzo 2010

la mia esperienza con i copti

Ricordo ancora il giorno in cui ho messo piede per la prima volta ad Alessandria d’Egitto. Era una giornata surreale, dato che era concomitante con un evento planetario, la finale dei mondiali del 2006, nei quali la nostra nazionale ha trionfato. Ero troppo emozionato per pensare al calcio. L’accoglienza è stata speciale. Quando sono sceso dalla macchina che mi ha condotto dal Cairo alla città fondata da Alessandro Magno, ho trovato ad aspettarmi un distinto signore poco più che trentenne. Il suo nome è Mina, proprio come il Santo raffigurato con due cammelli accanto a esso. Capisco subito che è cristiano non solo dal nome, ma anche dalla croce tatuata sul polso, simbolo di orgoglio e di identificazione di fede.
Ad un anno e mezzo di distanza, quei momenti mi sono rimasti impressi nella mente, dato che, dopo aver conosciuto Mina, sono stato ospitato dalla sua famiglia e ho potuto assaporare e toccare con mano la realtà copta. Dal momento in cui sono giunto in questa famiglia mi sono sentito a mio agio e non ne avevo il minimo dubbio, dato anche il fatto che conoscevo da oltre un anno tutti i componenti della famiglia. Ho subito sfatato dalla mia mente i cliché che sono presenti nell’immaginario collettivo europeo e che avevo l’anno prima. Se andiamo ad analizzare, quante persone, in effetti, da noi in Occidente, hanno idea della presenza di una cospicua cristianità in Egitto? Sappiamo bene che l’Egitto è inquadrato all’interno di un contesto più che riduttivo. Nella quasi totalità degli insegnamenti, si passa dalla grande civiltà dei faraoni e delle imponenti costruzioni direttamente alla storia recente, con un Paese configurato totalmente in un contesto arabo-musulmano. Pochi, infatti sanno dell’ondata di evangelizzazione prodotta da greci e romani, della fondazione della prima Chiesa cristiana in Egitto da parte di San Marco l’Evangelista e, soprattutto, che i cristiani hanno costituito l’unica religione nella terra dei faraoni, per ben sei secoli. A pro di ciò, quando ho comunicato della mia esperienza presso una famiglia egiziana per fortificare il mio livello di lingua araba, ho ricevuto gli stessi commenti. Tutti identificavano gli egiziani ai musulmani e si domandavano di come riuscissi a convivere con persone che dovevano pregare cinque volte al giorno, che digiunavano e che erano sempre in moschea. Rimanevano poi tutti attoniti ed esterrefatti quando li mettevo al corrente che avrei alloggiato presso una famiglia cristiana. La terra dei faraoni, delle piramidi, della sfinge, dei templi, delle spiagge mozzafiato e delle sconfinate distese del deserto del Sahara presenta un altro aspetto, affascinante e sconosciuto ai più. La poliedricità di questo splendido Paese è impressionante e, a chiunque, lo abbia visitato, sarà capitato di imbattersi nella numerosa comunità copta e nella sua società, anche se molti non se ne sono resi conto.
In questi due mesi di permanenza in quella che oramai definisco la mia seconda terra ho potuto davvero calarmi pienamente di questa realtà. Ho notato la condizione nella società egiziana da parte dei cristiani. Per cominciare, lo status di minoranza è chiaro ed innegabile. La religione ufficiale in Egitto è l’Islam e il proselitismo non è formalmente vietato, ma, specialmente in questi ultimi tempi, è fortemente sconsigliato. Hanno realizzato ciò i salesiani dell'Istituto Don Bosco di Alessandria che con i loro allievi affrontano vari argomenti fuorché la religione. Ho appreso ciò da alcuni amici che insegnano nell’Istituto. E mi è apparso sempre più chiaro che, fin quando non sono affrontate problematiche religiose, il rapporto tra le due comunità è estremamente pacifico e sereno. Tendenzialmente la convivenza è tranquilla, in quanto la maggioranza dei musulmani in Egitto è moderata. I vari amici musulmani con cui ho discusso hanno sempre mostrato un atteggiamento tollerante e di apertura nei confronti dei copti, alla luce del fatto che nel Corano è stabilito il massimo rispetto verso la gente del Libro, vale a dire cristiani,musulmani ed ebrei. Ho potuto constatare che, nonostante la famiglia di Mina fosse l’unica famiglia copta che viveva nel palazzo, non ha mai subito alcun tipo di disturbo.
Tuttavia, nonostante questo sostanziale rispetto reciproco, non vi è pieno amalgama tra le due comunità: è palese che spesso i cristiani amano stabilire amicizie e rapporti di lavoro esclusivamente all’interno della loro comunità. Sia all’interno della famiglia di Mina, che presso altri miei conoscenti cristiani, ho visto che per qualsiasi lavoro o servizio ci si rivolge ad un cristiano. Ad esempio il barbiere era cristiano, insieme all’insegnante di computer, al falegname, al venditore e, ovviamente, al medico. A proposito delle professioni, notiamo che la minoranza cristiana annovera parecchi componenti nel campo del commercio, parecchi medici e parecchi farmacisti. L’orientamento dei ragazzi, quando sono nelle scuole superiori, tende verso uno di questi campi. Come conseguenza, le facoltà di medicina, farmacia e commercio, in primis, annoverano un numero di studenti cristiani elevati rispetto alla percentuale di copti presenti ad Alessandria. Ho scoperto ciò per la prima volta, quando, una notte di agosto, nel 2006 ho incontrato Fady, un ragazzo copto ortodosso che doveva terminare i suoi studi in medicina per poi specializzarsi a Los Angeles per diventare dentista. Come Mina, anche Fady ha l’inequivocabile tratto distintivo: la croce copta disegnata sul polso o tra il pollice e l’indice. Ci sediamo a un bar e mi spiega che l’incisione di questa croce non è esattamente semplice come realizzare un tatuaggio. Innanzitutto bisogna essere battezzati e poi bisogna andare in una Chiesa o in un monastero per farsi tatuare questa croce. Le Chiese di Alessandria che praticano ciò non sono molte e i monasteri sono lontani. In più, l’incisione – piuttosto dolorosa, mi conferma Fady – è possibile solo in alcuni periodi dell’anno, quando chiese e conventi sono predisposti a ciò, in occasione di festività religiose.
Tramite Fady ho poi conosciuto una comitiva di ragazzi copti. Croce tatuata a parte, notavo differenze con coetanei musulmani, soprattutto dal punto di vista dell’abbigliamento e dai posti che frequentavano. Mi era risaltato agli occhi, già altre volte, il fatto che di solito i ragazzi cristiani tenessero alla cura dell’aspetto esteriore più di quelli musulmani. In più, come già accennato, preferiscono rimanere nel loro ambito, anche se non disdegnano introdurre occidentali nel loro gruppo. I contenuti delle loro parole, il loro modo di parlare e di scherzare sono molto occidentali. Quando siamo tutti riuniti, italiani ed egiziani copti, dinanzi ad una caffetteria, in riva al mare ad Alessandria, con visione della splendida cittadella mamelucca, sembra di essere a Mergellina, vicino al Castel dell’Ovo. E gli amici copti, a parte la lingua, sembrano davvero degli italiani. Gli orologi che portano al polso, l’elegante modo di vestire e le utilitarie che guidano sono aspetti tangibili di ciò. Insomma, tratti distintivi veri e propri, che accomunano un gruppo, il quale ci tiene a questa omogeneità.
La famiglia di Mina, poi è una famiglia moderna di vedute, molto occidentalizzata e fortemente determinata a perseguire i propri obiettivi. Lui è un uomo maturo, esperto e navigato, nonostante l’età ancora giovane. La famiglia ha rappresentato l’eccezione alla regola secondo cui i cristiani sono più abbienti rispetto ai musulmani in Egitto. E con una madre, quattro fratelli e due sorelle da mantenere per lui è stata un impresa ardua. Ma ce l’ha fatta. Come tutte le famiglie cristiane in Egitto, hanno come principali preoccupazioni la devozione religiosa, il legame familiare e i rapporti interpersonali. Affiancano ciò elementi più materiali, ma comunque considerati importanti, quali la cucina e il modo di vestire. A proposito della devozione religiosa, la primissima volta che ho varcato le soglia della casa di Mina, mi sono trovato di fronte un salone pieno di immaginette sacre, di gigantografie di Gesù, di statuette della Madonna e di adesivi del Papa Sheinuda, Papa ortodosso, vero vate e leader carismatico di una intera comunità. Ho vissuto, durante i miei periodi in Egitto, in particolare nell’ultimo dove ho risieduto a casa di Mina, una religiosità speciale e ne sono stato contagiato. L’attaccamento alla fede che ho riscontrato tra i cristiani copti, non lo ho mai visto da nessuna altra parte. E posso dire che la fede accompagna le persone anche nei minimi gesti quotidiani e nelle parole. Ogni volta che scendevo venivo salutato con espressioni che, tradotte, significano “Nostro Signore ti accompagna”, “Dio sia con te”, “Dio ti benedica” e “Dio ti protegga”. Alquanto eccessivo e ripetitivo, però, a mio avviso, l’utilizzo di intercalari e saluti religiosi in quasi ogni frase. Ho trovato poi interessante che, in famiglia di Mina, erano seguitissimi programmi religiosi in televisione. Vedevo tutti loro, quando non erano impegnati, passare da un canale religioso all’altro, focalizzandosi su Aghapy TV e su CTV. Suggestivo è il canale CTV, con la sua celebre sigla che recita “Rabbena Maugud”, che significa “Dio è presente”. Entrambi i canali trasmettono talk-show religiosi, musica religiosa, film che narrano storie di Santi, chiese e conventi, interviste e, soprattutto, i discorsi del Papa Sheinuda. E’ una figura carismatica che trasmette simpatia e non solo alla famiglia di Mina e agli amici copti, ma persino ai musulmani. Ho avuto la fortuna di assistere, assieme al fratello di Mina, Remon, a una sua visita ad Alessandria. Era il 25 novembre 2007. La Chiesa di San Marco era gremita in ogni ordine di posto e il pontefice è stato oggetto davvero di un bagno di folla. L’occasione era quella dell’inizio del digiuno copto, svolto per ricordare il miracolo dello spostamento della montagna di Mokattam, da parte di San Simone. E’ stata la prima volta che sono riuscito a vedere un Papa da pochi metri e sono rimasto colpito anche dal suo discorso: oltre a ricordare l’importanza del digiuno, il Papa Sheinuda riusciva anche a sdrammatizzare e a scherzare con i giovani. Quindi, in un Paese dilaniato dalla povertà e da altri problemi, punti di riferimento come il Papa Sheinuda e la religione sono punti cardine per i copti. Impressionante la portata di popolarità che ha il Papa, tanto che per tutti i giovani che ho conosciuto, i suoi moniti e i suoi discorsi sono da mettere in pratica.
Ho avuto riscontro di ciò anche quando sono andato in visita ai conventi. La prima volta sono stato nell’agosto del 2006, quando, sfidando le condizioni climatiche proibitive, ho raggiunto Wadi Natrun, località desertica, tra Alessandria e il Cairo. Lì sono stato in alcuni monasteri di monaci e sono rimasto molto colpito da quello della Vergine Maria (Mariam el Adhrà) e da quello di San Macario. Mi è rimasta impressa in mente l’accoglienza che ci hanno riservato i monaci e la disponibilità con cui ci hanno illuminato raccontandoci la storia dei conventi, e con cui ci hanno preparato da mangiare. I fedeli copti vedono nelle frequenti visite ai monasteri un pellegrinaggio doveroso e un modo per ringraziare il Signore. Appena sono liberi, anche un giorno, colgono l’occasione per andarvi. Questi pellegrinaggi religiosi, poi, sono ancora più massicci verso il monastero di San Demiana, presso al-Mansoura, dove migliaia di fedeli si radunano nel complesso. Anche io ho avuto l’onore di visitare, a gennaio, il convento il quale, a differenza di quelli di Wadi Natrun, è composto da suore. Anche qui sono rimasto colpito da come le suore ci hanno accolto. Abbiamo visitato il monastero e ci siamo soffermati dinanzi alla tomba di San Demiana e ho conosciuto la storia di questa grande Santa, venerata da tutti. Davvero giornate indescrivibili. Facile realizzare quindi il tipo di educazione che hanno queste persone, improntato su principi religiosi e sugli insegnamenti del Signore. A differenza che in Italia, in Egitto chi si professa cristiano lo è realmente e da quello che ho potuto vedere, davvero sono messi in pratica in precetti scritti nella Bibbia. Nonostante la generale povertà, la coesistenza con i musulmani e l’essere spesso costretti ad emigrare, i cristiani d’Egitto non perdono la loro dignità e la speranza, mantenendo nella stragrande maggioranza dei casi un comportamento irreprensibile. Da parte mia, dati i miei studi in lingua araba, ho avuto la fortuna e l’onore di immergermi totalmente nella società egiziana e di avere un rapporto diretto e fraterno con alcuni componenti della comunità cristiana. Invito chiunque abbia intenzione di visitare l’Egitto a conoscere anche questo aspetto: sono sicuro che gli si apriranno gli occhi e che nutrirà una forte ammirazione per questa splendida comunità.

NOME ED ETIMOLOGIA

Utilizziamo il termine “copti”, dall’arabo Qibt, che sta a indicare un’abbreviazione del nome greco Aigiptios (Egiziano); questo, a sua volta, deriva da Hikuptah (Casa dell’energia di Ptah). Ptah è il nome religioso di Menfi, la capitale dell’antico Egitto.

NUMERO E DIFFUSIONE

In Egitto, fornire una statistica sull’esatto numero dei copti è pressocchè impossibile, siccome il governo tende a diminuire il loro numero, mentre essi forniscono spesso stime esagerate. Si calcola, tuttavia, che siano tra i 6 e i 10 milioni. La loro presenza è cospicua in Alto Egitto (Assuan, Assyut, Suhag, al-Minyah), al Cairo e ad Alessandria.

ORIGINE

Fu fondata in Egitto nel primo secolo, dalle pratiche dell’Evangelista Marco. Al Concilio di Calcedonia assunse una posizione a sé stante sulla Natura di Dio, preferendo parlare di “unica natura del Verbo incarnato”, secondo la dichiarazione del Patriarca Cirillo di Alessandria. Vi è anche la Chiesa copta cattolica, in comunione con il Papa di Roma, istituita dalle missioni dei cappuccini nel secolo XVII.

IL PAPA

Il Pontefice è Sheinuda III ed è il numero 117 da quando è avvenuta la predicazione di San Marco. Per il Papa copto non esiste il dogma dell’infallibilità papale.

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